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Luci, colori

Siamo noi terrestri che abbiamo acceso le luci dell’universo?

C’è un passaggio di una puntata di SuperQuark che è diventato famoso a causa di un’affermazione semplice quanto poco nota: l’universo è buio. Potete ascoltarne un frammento qui, dalla viva voce di Piero Angela. Nella trasmissione Angela sostiene che sia stato l’uomo con i suoi occhi e il suo cervello a trasformare le onde elettromagnetiche in luce, e a scindere questa nelle varie bande di colore, trasformando il buio in un fantasmagorico mondo pieno di oggetti variopinti e di stelle luminose nel cielo. E, aggiunge, anche di suoni, dato che se non ci fosse l’atmosfera le onde sonore non viaggerebbero: dunque l’universo, oltre che buio è pure silenzioso. Ma qui vogliamo parlare solo di luce.

A nostro avviso l’affermazione di Piero Angela non è del tutto esatta: è vero, servono gli occhi e il cervello, ma non è solo l’uomo a possedere questi accessori. Tanti animali ne sono dotati, e da tantissimo tempo. La storia della vista è forse una delle più antiche, affascinanti storie dell’evoluzione della vita sulla Terra. Potremmo dire che le stesse alghe primordiali, i cianobatteri che costituiscono uno dei primi anelli della catena, alcuni miliardi di anni fa avessero già una certa capacità di “vedere”, essendo sensibili alla luce del Sole, da cui dipendeva la loro sopravvivenza. Il mondo vegetale deve tutto a quei primi organismi, inventori della fotosintesi clorofilliana. Come vedete la stiamo già chiamando “luce”, e ancora non esisteva un occhio in grado di distinguerla.

Realizzare un occhio dal nulla non è semplice, e infatti a quanto pare il nostro sistema visivo è frutto di oltre un miliardo di anni di evoluzione. Lo stesso Darwin, padre della teoria dell’evoluzione delle specie, non era del tutto convinto che il meccanismo da lui proposto potesse spiegare tanta complessità. Pensateci bene: solo la parte “ottica” vera e propria, quella che nei libri di scuola viene paragonata alla macchina fotografica (palpebre, cornea, cristallino, iride, retina sensibile) ha richiesto la specializzazione di cellule che sono dovute diventare trasparenti come l’acqua, pur mantenendo solidità ed elasticità, e altre che funzionano come antenne di minuscoli ricevitori radio. Per non parlare di tutto ciò che viene dopo: nervo ottico e centri della vista nel cervello. Ma non solo l’evoluzione ha fatto questo percorso, lo ha differenziato in decine di rami superspecializzati a seconda delle necessità ambientali: molti animali non vedono tanto bene i colori ma hanno una grande sensibilità al buio; altri “vedono” gli ultravioletti che a noi sono preclusi; altri ancora possiedono “lenti addizionali” per zoomare i dettagli di scene lontane: alcune aquile possono vedere una cavalletta a cento metri. Questione di sopravvivenza. Noi nel nostro piccolo vediamo un tratto dello spettro elettromagnetico che va da 700 a 390 nanometri, dal rosso profondo al violetto, con una maggiore sensibilità sul verde. I colori li abbiamo inventati noi, questo è certo, e li abbiamo chiamati, nel loro insieme, “luce”.

Fino all’Ottocento eravamo convinti che la luce fosse quella, e basta, e quindi si parlava di “velocità della luce”, riflessione, rifrazione e altri fenomeni fisici legati sempre alla “luce”. Poi abbiamo scoperto che stavamo parlando di una parte piccolissima dell’esteso spettro della radiazione elettromagnetica, che va dalle onde radio lunghissime (chilometri) fino ai raggi gamma (miliardesimi di millimetro) e oltre. In pratica non c’è limite da una parte e dall’altra. I raggi cosmici che ci attraversano continuamente non interagiscono facilmente con i nostri atomi perché hanno una lunghezza d’onda ancora più piccola. Se il nostro occhio fosse sensibile a tutta questa radiazione probabilmente sarebbe un disastro. Di fatto, come dicevano i saggi, “vediamo quello che serve”. Ciò che non serve lo scartiamo.

Ma vale la pena meditare sul punto di partenza di questa conversazione: se non ci fosse questa vita sulla Terra, se non si fosse sviluppata questa estrema sensibilità alla radiazione elettromagnetica, insomma se fossimo un mondo di animali ciechi – è possibile, no? – l’universo sarebbe buio, completamente e atrocemente buio. Ci sarebbero altre implicazioni, certamente, ma pensiamo che ognuno possa trarre le proprie, per esempio far scomparire di colpo tutti i fiori, dato che non avrebbero alcun senso senza gli occhi degli insetti impollinatori, e via discorrendo. Insomma, possiamo dire con un pizzico di presunzione che siamo noi, gli abitanti della Terra ad aver portato luce e colore nell’universo.

Visto che questo blog in altre parti si occupa anche di fantascienza sarebbe divertente avere qualche segnalazione di autori che abbiano affrontato questo argomento: un pianeta alieno nel quale la vita si è sviluppata senza fare uso della radiazione elettromagnetica, o almeno non sotto forma di luce e colori come la conosciamo e apprezziamo noi.

1 pensiero su “Luci, colori

  1. What’s up, its pleasant paragraph on the topic of media print, we all know media
    is a fantastic source of data.

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