
Sul sito petitesondes.net, che tra l’altro gestisce un archivio di EPOCA – lo storico settimanale della Mondadori – è stato recentemente pubblicato un dossier completo su tutti gli articoli pubblicati durante la guerra del Vietnam. Si tratta di parecchie decine di estratti, molti dei quali accompagnati da foto di una crudezza a cui ora non siamo più abituati – allora si usava così. È interessante sfogliare gli articoli, pensando che non si tratta di storia come quella che possiamo leggere ovunque – a distanza ormai di oltre mezzo secolo, ma di cronaca, redatta in tempo reale da giornalisti, reporter, commentatori.
Naturalmente EPOCA segue la sua inclinazione politica, e dunque è filoamericana, in un periodo in cui il mondo era diviso nei due blocchi contrapposti dalla Guerra Fredda. Dall’altra parte c’erano i comunisti, e il compito degli Stati Uniti era quello di “contenerne” a ogni costo l’espansione: è questa la causa del conflitto, definito inizialmente come una “operazione di polizia” (ci ricorda qualcosa?) e mai dichiarato ufficialmente. Queste operazioni di contenimento si effettuarono dapprima istruendo e armando l’esercito sudvietnamita, e in seguito entrando apertamente, con bombardamenti e combattimenti sul terreno. Ma se lo scopo era “nobile” (aiutare un popolo invaso a proteggersi), le armi usate lo furono molto meno. Il napalm e le bombe al fosforo per citarne alcune ben note: armi capaci di sterminare popolazioni inermi, infliggendo sofferenze atroci.
Tra l’altro, gli Stati Uniti sperimentarono anche la modificazione meteorologica attraverso il Progetto Popeye, un programma segreto condotto dal 1967 al 1972 che consisteva nel seminare le nuvole con ioduro d’argento per prolungare la stagione dei monsoni, nel tentativo di ridurre il flusso di combattenti e rifornimenti che giungevano dal Vietnam del Nord attraverso la pista di Ho Chi Minh – un antesignano delle fantomatiche “scie chimiche” di cui si blatera oggi. Nel 1978 entrerà in vigore un trattato internazionale per vietare l’uso della modificazione meteorologica come arma di guerra. Ma il Vietnam e il Laos subirono anche questo trattamento, che portava carestie e pestilenze.
Nonostante tutto ciò, gli astuti guerriglieri Vietcong sapevano utilizzare il territorio molto meglio dei Marines: si nascondevano nel folto della boscaglia rendendosi invisibili anche agli attacchi aerei. Da qui l’idea dei defolianti: sostanze chimiche con cui irrorare la vegetazione in modo da denudare gli alberi e mettere allo scoperto i nascondigli dei comunisti.
Tante di queste sostanze furono utilizzate, secondo un principio che allora appariva evidente: si tratta di armi innocue in quanto non provocano la morte, e neppure ferite o altre sofferenze: poco più dei diserbanti usati in agricoltura. L’unico riferimento che abbiamo trovato in tutto il dossier di Epoca è questo trafiletto del 1968, che avanza qualche dubbio sull’effettiva innocuità dei defolianti. Gli aerei USA sorvolavano i territori, proprio come fanno i coltivatori, spandendo una pioggia chimica quasi invisibile che colpiva anche i villaggi. L’effetto devastante arrivava in breve, quando apparivano gli scheletri degli alberi spogli, e tutta la vegetazione appassiva. Le industrie chimiche americane si davano da fare per migliorare i prodotti, l’ultimo dei quali sarà il cosiddetto “Agent Orange“, quasi un personaggio buffo nel gergo dei marines. Il nome deriva dalla banda arancione che contraddistingue i fusti di quella miscela. Cosa contenessero quei fusti non interessava né ai generali, né agli aviatori che effettuavano le operazioni. Ma poi si scoprirà che avrebbero fatto bene a preoccuparsi fin da allora.

I risultati, visibili e documentati dalle migliaia di foto, fecero coniare alla fine degli anni ’60 il termine ecocidio, ossia l’equivalente del genocidio per l’ambiente naturale. Ma effetti più subdoli e inaspettati appariranno più tardi, sotto forma di tumori, malformazioni dei feti e mutazioni genetiche, con effetti sulle generazioni successive che perdurano ancora oggi, a distanza di oltre cinquant’anni dalla fine della guerra. Infatti tra i componenti dell’Agente Arancio erano presenti delle diossine altamente tossiche, come poi si è imparato in Italia con il disastro di Seveso del 1976. Ma allora questi effetti non si conoscevano. Si calcola che siano alcuni milioni le persone coinvolte direttamente o indirettamente negli effetti devastanti dell’Agente Arancio.
Un articolo apparso recentemente su The Conversation nell’edizione europea racconta le vicende legate alla guerra “sporca” degli Usa contro la popolazione inerme del Sud-Vietnam, che aveva l’unico torto di permettere – o non ostacolare abbastanza – le infiltrazioni dei Vietcong nel proprio territorio. Ma anche allora, come oggi, non si bada troppo per il sottile, e si tollerano una buona dose di “danni collaterali”.
Tra questi danni collaterali vi sono le decine di patologie, dai tumori al Parkinson al diabete, che colpirono i veterani americani reduci dalla guerra, a migliaia. Tuttora sono in corso delle cause di risarcimento per coloro che furono esposti alla sostanza, che maneggiavano senza alcuna protezione. Il che fa un po’ pensare anche all’allegro uso dell’asbesto (o amianto) di cui magari parliamo un’altra volta.
Tutto ciò, naturalmente, ora è “esperienza”, e serve a produrre trattati internazionali e fattispecie di “crimini di guerra” che a poco servono, come stiamo vedendo ancora oggi nei numerosi conflitti che continuano a divampare in tutte le regioni del mondo. Il principio della guerra è semplicissimo: dall’altra parte c’è il nemico, un’entità disumanizzata che occorre annientare a qualunque costo, anche con le armi più vigliacche, crudeli e spietate.
Zer037, maggio 2025
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