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Al largo di Esmara

(Racconto un po’ triste)

Ho sperato fino all’ultimo in una mitigazione della condanna, ma qui non c’è niente da fare, se sei condannato a morte verrai impiccato, e questo mi toccherà domani all’alba, come nelle antiche storie di pirateria. Purtroppo non siamo in Inghilterra, dove hanno da tempo eliminato l’impiccagione: in questo arcipelago lo fanno, e domani toccherà a me.

Ecco come è andata.

Stavo navigando lungo la costa di Esmara con la mia piccola barca a vela, proprio vicino a una bella spiaggia frequentata da qualche bagnante. Avrei concluso il giro dell’isola a metà pomeriggio, e prima dell’imbrunire sarei tornato in porto all’isola di partenza, l’unica di questo piccolo arcipelago con un ricovero per diportisti come me. Il tempo era bellissimo, caldo e soleggiato, ma non mi sembrava particolarmente propizio per nuotare, perché il vento, e sicuramente anche la corrente, spingevano verso il largo. Ottimo per le mie vele, pessimo per qualunque nuotatore. Infatti c’era pochissima gente in acqua.

Stavo per superare il profilo sabbioso, quando ho visto degli spruzzi non lontani da me: spruzzi ritmici come di un nuotatore. Così lontano dalla riva? Deve essere un nuotatore formidabile, ho pensato, e ho diretto la prua per vederlo meglio. Eravamo forse due miglia lontani dalla riva, e quel nuotatore mi è apparso subito in difficoltà. Nuotava, mi pareva, come qualcuno che è molto stanco, buttando le braccia a destra e a sinistra senza alcun effetto, e nessun movimento dei piedi.

Evidentemente la corrente lo stava trascinando ed era allo stremo.

Mi sono avvicinato ancora e ho ammainato la vela: col motore avrei potuto raggiungerlo meglio senza rischiare di colpirlo, almeno fino a potergli chiedere se andava tutto bene.

  • Tutto bene?

Nessuna risposta, ma a quel punto ho potuto vedere meglio: era una donna. Si dava un gran daffare per cercare di avvicinarsi alla riva, forse non mi aveva visto ancora né sentito.

  • Ehi, tutto bene?

Niente. intanto mi sono avvicinato abbastanza: annaspava proprio, se non facevo qualcosa sarebbe sicuramente annegata. Così ho pensato a un remo: le offro un remo a cui aggrapparsi. Infatti ci si è aggrappata, e si agitava come una disperata e urlava fortissimo, quasi quasi mi faceva mollare la presa, ma ho tenuto duro, col rischio di rovesciare la barca, ma appena son riuscito a tirarla sotto bordo l’ho afferrata per quello che potevo, la spallina del costume mi sembra, e poi mi pare anche una specie di collare, e anche lei si aggrappava, tanto che mi ha conficcato le unghie nel braccio. Infine sono riuscito a issarla a bordo. Ero stremato, e anche lei, si vedeva, era distrutta, tremava tutta. Tremava e urlava ancora, e mi guardava con occhi spaventati. Sicuramente sotto choc.

Mi son ricordato di una coperta che tenevo nel gavone di prua, l’ho presa e sono andato dove si era rannicchiata per coprirla. Ho preso dal gavone anche la pistola lancia razzi per segnalare l’emergenza, infatti non sapevo come fare a riportare la ragazza alla spiaggia; il mio battello non poteva avvicinarsi alla riva, avrei spaccato il bulbo, e non avevo altro se non due giubbini galleggianti. Meglio chiamare qualcuno.

Lei mi ha strappato la coperta di mano e ci si è avvolta completamente, e ansimava e piangeva facendo no, no, no con la testa. Ho cercato di parlarle per tranquillizzarla, ma continuava a piangere e a scuotere la testa. Solo allora ho pensato che forse non parlava la mia lingua. E non parlavano la mia lingua neppure quelli della guardia costiera che a un certo punto mi hanno avvicinato. Evidentemente la mia barchetta, in alto mare, senza vela sembrava in pericolo.

Hanno subito preso a bordo la ragazza e mi hanno rimorchiato fino al porto vicino, anche se protestavo e ringraziavo, che per me andava tutto bene, che avrei potuto benissimo ricominciare la navigazione. Ma non capivano neppure i miei gesti, e alla fine mi son goduto il traino, felice di aver salvato una vita. Il mare nel frattempo si era ingrossato, e il vento era cresciuto: non ce l’avrebbe fatta senz’altro senza il mio aiuto.

All’arrivo mi hanno arrestato, e dopo pochi minuti ero nell’unica cella di quella piccola isola. Ero tranquillo, si trattava sicuramente di un malinteso, forse pensavano che portassi droga o armi, ma avrebbero visto subito che io e la barca eravamo puliti e mi avrebbero lasciato andare.

Ci sono voluti due giorni per trovare un avvocato, e un altro giorno per avere un interprete. Evidentemente anche a Esmara riconoscono il diritto alla difesa. Ed ecco cosa mi ha raccontato l’avvocato, o meglio l’interprete (donna) che traduceva più o meno:

  • Sei accusato di aggressione, tentato stupro e tentata rapina ai danni della signora V… La V…  racconta che stava nuotando tranquilla lungo la costa, quando ha visto in lontananza una barca a vela avvicinarsi. Sapeva che le acque di questo arcipelago sono frequentate da banditi che rapinano, stuprano e uccidono. Così ha deciso di affrettare il rientro, ma un po’ per il panico, un po’ per il vento contrario si è trovata in difficoltà. Nel frattempo la barca si avvicinava, e il tipo ha cominciato a minacciarla con un remo, evidentemente con lo scopo di stordirla, portarla a bordo e farle la festa.
  • Per fortuna lei è riuscita ad afferrare e neutralizzare quel remo, e anzi l’ha usato per issarsi a bordo, altrimenti lui l’avrebbe facilmente annegata. Mentre saliva, lui ha cercato di spogliarla strappandole il pezzo di su del costume, poi ha cercato di derubarla del borsino stagno che portava intorno al collo con le chiavi, gli occhiali i e il portafoglio, ma non c’è riuscito, perché lei lo graffiava e si difendeva come poteva.
  • Allora è corso a prua per armarsi. Ha preso una pistola e una coperta. V… ha capito che voleva costringerla a sdraiarsi sulla coperta per poterla spogliare e abusare di lei. Gli ha strappato la coperta e ci si è avvolta, per proteggersi dai suoi sguardi e dall’aggressione fisica.
  • Per fortuna in quel momento si è avvicinata una barca della Guardia Costiera, che ha subito preso a bordo V… e ha catturato il bandito.

Ecco. Ecco qui, un grosso malinteso, roba da ridere se fossimo stati nel film “Il mostro” di Benigni. Ma in questi mesi mi sono accorto che non c’era niente da ridere. Le prove schiaccianti, i graffi sul mio braccio, il mio DNA sotto le sue unghie confermavano che c’era stata una colluttazione, e quindi un tentativo di aggressione. La sua parola contro la mia sarebbe comunque bastata: è la voce del più debole che deve essere amplificata in casi come questo, dove un predatore cerca di usare la sua preponderanza fisica per prevalere sulla vittima.

La giuria non ha avuto dubbi: colpevole di tutti i reati ascritti. Condanna capitale, da eseguirsi dopo due mesi esatti.

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Ho passato questi due mesi in un’alternanza di stati di rabbia, incredulità, fiducia in una soluzione improvvisa, disperazione, senza più alcun contatto col mondo esterno. Alla fine ho deciso: accetto la condanna. La accetto perché la capisco. Intanto, sono felice che la mia “vittima” sia salva grazie a me. Sono un uomo di mare e so bene che non ce l’avrebbe mai fatta senza il mio aiuto. Lei non lo sa, anzi l’ho vista tante volte in tribunale accanirsi e urlare parole incomprensibili indicandomi col braccio teso, ma la capisco. Ogni donna sa che ogni uomo può essere un predatore, e se è una donna forte ha imparato a difendersi. Lei evidentemente lo è, e per questo merita di vivere.

Io forse non sono colpevole, ma rappresento un genere che è colpevole di tutto: maschi stupratori, violenti, prevaricatori, predatori, collezionisti di donne, ecco chi rappresento. Capisco anche i giudici e la giuria, che hanno guardato le prove prima di tutto, e le prove potevano essere a mio sfavore. Insomma, ho salvato una donna che non voleva essere salvata, non da me almeno, e questa è forse una forma di violenza, di abuso, di prevaricazione.

Dopo tante notti insonni adesso sono contento che domani finisca tutto, e che finisca solo per me. Si dice che i soldati in guerra sono fieri di morire per qualcosa, io sinceramente non ci ho mai creduto, tutti vogliamo vivere ancora e ancora, ma il mio cervello si riempie di una strana droga quando mi immagino impegnato in un atto di eroismo, come ci hanno insegnato, specie a noi uomini, mille romanzi e racconti di gente coraggiosa.

Un attimo prima che la botola si apra sotto di me cercherò di immaginarmi ancora una volta in navigazione con la mia barchetta.

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