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Sensi dimenticati

Sono stato studente in tempi piuttosto lontani, quando c’erano in giro poche persone che si profumavano, specie tra i maschi, a parte qualche dopobarba dozzinale. In realtà non ricordo neppure che qualcuno dei miei colleghi avesse brutti odori, o forse vivevamo in un fondo di odori a cui eravamo abituati. Quanto a profumarsi però conoscevo uno che forse precorreva i tempi, anche nell’abbigliamento. Era un artista. Lo ricordo con una lunga sciarpa al collo anche nella bella stagione, annodata come si usa oggi. Lui si profumava. Sapevo che era stato in aula di studio anche se non c’era più: mi bastava annusare l’aria. Un giorno un grosso docente di laboratorio non particolarmente raffinato si affacciò in aula, inspirò profondamente e con una smorfia disse: “cos’è questo odore di battona!?” Credo che oggi non avrebbe notato niente, né lui, né io, anche se negli anni ho cercato di preservarmi dall’eccesso di inquinamento olfattivo, e uditivo. Anzi, cominciamo dai suoni.

Quando esco a passeggio o in bici preferisco non portarmi musica in cuffia, ma anzi, cerco di estrarre dal frastuono del traffico e del vento nelle orecchie i piccoli suoni, i frammenti di conversazione delle persone lungo la strada, i microscopici pezzi di notiziario o di musiche che escono dalle auto che passano, e naturalmente poi, fuori città, gli altri rumori della natura, il vento tra alberi e cespugli, la risacca lontana del mare, lo sciacquio di una barca all’ancora, gli schiamazzi di uccelli grandi e piccoli e anche il frullare delle loro ali. Tutto questo, forse, al giorno d’oggi, passa sotto il nome di “silenzio”. Questo silenzio, che fa tanta paura a chi è abituato a vivere in una cappa ben imbottita di decibel, è per me un ottimo sfondo per il fluire dei pensieri e dei ragionamenti, che in genere accompagnano le lunghe passeggiate e ancora di più le pedalate. Pare che l’eccentrico inventore giapponese Yoshiro Nakamatsu, padre di migliaia di brevetti tra cui qualcuno legato al floppy disk, abbia detto una volta che i lunghi ragionamenti hanno bisogno di silenzio e di un movimento fisico senza strappi, come quello del camminare o del pedalare, e che invece il correre e il ritmo della musica rock spezzetta le idee. Nel mio piccolo posso confermare: l’attività creativa si accentua in bici fino a sfiorare la visionarietà.

Un altro stimolo per creatività e visionarietà sono gli odori, dalle cosiddette “puzze” fino ai profumi più soavi. Pedalando li incontri tutti: prova a stare un po’ dietro un compattatore della raccolta differenziata senza riuscire a superarlo o a distanziarlo, o a passare d’estate vicino alla carogna di uno sfortunato animaletto messo sotto da un’auto. Ma prova anche a uscire la mattina presto, quando la strada è ancora umida dopo una pioggia notturna ma il sole sta già cominciando a scaldare l’aria. Qualche giorno fa un grosso temporale estivo notturno, accompagnato da un vento fortissimo, ha scosso talmente forte i pini di un viale che all’alba mi son trovato a passare letteralmente sopra un tappeto di aghi di pino umidi, tiepidi e fragranti: immediatamente mi son ritrovato bambino, durante una di quelle gite domenicali nelle quali immancabilmente si apparecchiava il picnic sotto un pino frondoso, e l’odore del timballo di maccheroni si mischiava col profumo del sottobosco, tanto da occupare nella mia memoria un’unica casella. La pastasciutta della gita sa di pineta, e viceversa.

Gli odori non suscitano semplicemente i ricordi, ma fanno qualcosa di più: fanno rivivere le emozioni e le ansie legate a vicende ancestrali. Per esempio il profumo del gelsomino, che respiravo da bambino nella strada da scuola a casa è per me l’odore de “la scuola sta per finire” e mi rende euforico, mentre l’odore delle caldarroste significa “la scuola ricomincia” e mi deprime.

Mi chiedo cosa provino quelli che tutti i giorni si cospargono il corpo di essenze fortissime, che poi durante la giornata spargono con abbondanza in ascensori, scale, stanze, uffici; gli stessi che riempiono l’auto di “deodoranti” che si insinuano fin nei polmoni e nell’alito e spesso si rivelano come un’aura che circonda le persone anche quando sono fuori dalla macchina, come se provenissero non da un semplice “arbre magique” ma da un’intera foresta incantata. Probabilmente il loro olfatto diventa cieco a furia di odori così forti, come un occhio che guarda il sole o un orecchio che si spara la musica “a palla”.

E infatti ogni tanto mi capita di incontrare dei ciclisti, specie quelli che escono in gruppo, che lasciano dietro di sé una scia profumata, mista di ammorbidenti, lozioni dopo doccia, deodoranti a prova di sudore. Forse loro si preoccupano di non puzzare, per non disturbare il resto del branco. Io esco sempre da solo e non ho di questi problemi. Probabilmente puzzerò un po’ di sudore alla fine del mio giro, ma mi sarò goduto, se è domenica mattina, il profumo dei caminetti accesi dall’uomo di casa per avviare l’arrosto, il sentore dell’erba e del finocchio selvatico emanato dai decespugliatori lungo strada, e purtroppo anche il denso profumo grasso delle migliaia di polli che girano negli spiedi nelle rosticcerie dei centri commerciali, uno ormai ogni pochi chilometri.

Quando c’è stata l’esplosione della pandemia di Covid, una delle notizie che più mi ha terrorizzato era quella della perdita dell’olfatto e del gusto che colpiva i contagiati: era il primo sintomo. Mi stupì scoprire che per molte persone quella menomazione fosse “tutto sommato, il minimo”. Sinceramente non saprei come fare senza gli odori, sottili o forti, buoni o fastidiosi, che guidano gran parte delle mie decisioni in molti settori, dal cibo alla tecnologia, dai rapporti umani ai vini e ai libri. Tanti anni fa ho scoperto che proprio gli odori hanno una strada privilegiata nel cervello: vanno direttamente in un centro ancestrale, che corrisponde al centro olfattivo dei primi mammiferi che coabitavano coi dinosauri. Quei piccoli animali non avevano una buona vista, ma in compenso avevano un udito e un olfatto sviluppatissimi che li rendevano adatti alla vita notturna.

Dunque gli odori vanno direttamente al centro del cervello e permettono di prendere decisioni rapide; sì, no, mangiare, scartare, amare, odiare, restare, fuggire. Pensateci un pochino, se credete che la vista sia il senso principe: quando dormiamo è proprio la vista a essere disabilitata. Udito e olfatto restano sempre svegli, pronti a farci arrivare allarmi sonori (come la sveglia) o olfattivi, come uno strano odore di fumo – c’è un incendio? – o il delizioso profumo del caffè – la colazione è pronta! Per questo penso che non sia giusto “dimenticare” o maltrattare questi sensi, sommergendoli con stimoli artificiali.

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