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Serata nel Sussex: riflessioni in automobile

Un soave racconto di Virginia Woolf (dalla raccolta The death of the moth)

(La raccolta Morte della Falena che comprende anche questo racconto è disponibile presso l’editore Xedizioni, in edizione tascabile.)

La sera è gentile con il Sussex, perché il Sussex non è più giovane, ed è grato per il velo della sera come una donna anziana è contenta quando si tira un’ombra su una lampada, e rimane visibile solo il contorno del viso, senza troppi particolari. Il profilo del Sussex è ancora molto bello. Le scogliere si stagliano sul mare, una dietro l’altra. Tutta Eastbourne, tutta Bexhill, tutta St. Leonards, le loro passeggiate e i loro alloggi, i negozi di perline, i negozi di dolciumi e i cartelli e i loro invalidi e giardinieri, sono tutti cancellati. Ciò che rimane è quello che c’era quando Guglielmo arrivò dalla Francia dieci secoli fa: una linea di scogliere che corre verso il mare. Anche i campi sono riscattati dalla sera. La lentiggine di ville rosse sulla costa è bagnata da un sottile lago lucido di aria marrone, in cui esse e il loro rossore si immergono. A quell’ora era ancora troppo presto per le lampade; e troppo presto per le stelle.

Ma, pensai, c’è sempre qualche sedimento di irritazione quando il momento è così bello come adesso. Gli psicologi devono spiegarcelo; si guarda in alto, si è sopraffatti da una bellezza stravagantemente più grande di quanto ci si possa aspettare – ora ci sono nuvole rosa su Battle; i campi sono screziati, marmorizzati – le nostre percezioni si gonfiano rapidamente come palloni d’aria espansi da un soffio impetuoso, e poi, quando tutto sembra gonfiato al massimo e teso, con bellezza e bellezza e bellezza, uno spillo punge; si crolla. Ma qual è lo spillo? Per quanto ho potuto capire, lo spillo ha qualcosa a che fare con la nostra impotenza. Non posso reggere questo, non posso esprimerlo, sono sopraffatta da questo, sono dominata. Da qualche parte in quella regione si trovava il malcontento; ed era alleato con l’idea che la propria natura esige di dominare su tutto ciò che riceve; e dominare qui significava il potere di trasmettere ciò che si vedeva ora sul Sussex in modo che un’altra persona potesse condividerlo. E inoltre, c’era un’altra puntura di spillo: si stava sprecando l’occasione; perché la bellezza si diffondeva a destra, a sinistra, anche alle spalle; sfuggiva continuamente; si poteva solo accostare un ditale a un torrente che poteva riempire vasche, laghi.

Ma rinunciate, dissi (si sa che in circostanze come queste l’io si scinde e un io è ansioso e insoddisfatto e l’altro severo e filosofico), rinunciate a queste aspirazioni impossibili; accontentatevi del panorama che abbiamo davanti, e credetemi quando vi dico che è meglio sedersi e stare immersi; essere passivi; accettare; e non preoccupatevi perché la natura vi ha dato sei coltellini da tasca con cui tagliare il corpo di una balena.

Mentre questi due sé stessi tenevano un colloquio sulla saggia condotta da adottare in presenza della bellezza, io (una terza parte che ora si dichiarava) dicevo a me stessa quanto fossero felici di godere di un’occupazione così semplice. Lì stavano seduti mentre la macchina sfrecciava, notando tutto: un mucchio di fieno; un tetto rosso ruggine; uno stagno; un vecchio che tornava a casa con il suo sacco sulla schiena; lì stavano seduti, abbinando ogni colore del cielo e della terra dalla loro scatola dei colori, allestendo piccoli modelli di granai e case coloniche del Sussex nella luce rossa che sarebbe servita nell’oscurità di gennaio. Ma io, essendo un po’ diversa, me ne stavo seduta in disparte e malinconica. Mentre loro sono così occupati, mi sono detta: Andato, andato; finito, finito; passato e finito, passato e finito. Sento la vita lasciata alle spalle come è lasciata alle spalle la strada. Siamo passati per quel tratto e siamo già stati dimenticati. Lì, le finestre sono state illuminate dalle nostre luci per un secondo; ora la luce si è spenta. Altri arrivano dietro di noi.

Poi improvvisamente un quarto sé (un sé che giace in agguato, apparentemente dormiente, e che ti salta addosso senza preavviso. Le sue osservazioni sono spesso completamente scollegate da ciò che sta accadendo, ma devono essere seguite a causa della loro immediatezza) disse: “Guardate là”. Era una luce; brillante, bizzarra; inspiegabile. Per un secondo non sono riuscita a darle un nome. “Una stella”; e per quel secondo mantenne il suo strano guizzo di inaspettato e danzò e si illuminò. “Capisco cosa intendi”, dissi. “Tu, erratico e impulsivo che sei, senti che la luce che emerge sopra il monte, pende dal futuro. Cerchiamo di capire questo. Cerchiamo di ragionare. Mi sento improvvisamente legata non al passato ma al futuro. Penso al Sussex tra cinquecento anni. Penso che molta volgarità sarà evaporata. Le cose saranno state bruciate, eliminate. Ci saranno cancelli magici. Le correnti d’aria soffiate a ventaglio dall’energia elettrica puliranno le case. Luci intense e dirette con precisione arriveranno sulla terra, facendo il lavoro. Guardate la luce che si muove in quella collina; è il faro di un’automobile. Di giorno e di notte il Sussex tra cinque secoli sarà pieno di pensieri affascinanti, di fasci rapidi ed efficaci”.

Il sole era ormai basso sotto l’orizzonte. L’oscurità si diffuse rapidamente. Nessuno dei miei sé riusciva a vedere qualcosa oltre la luce affusolata dei nostri fari sulla siepe. Li chiamai a raccolta. “Ora”, dissi, “arriva la stagione dei conti. Ora dobbiamo raccoglierci; dobbiamo essere un solo io. Non si vede più nulla, tranne un cuneo di strada e di banchina che le nostre luci ripetono incessantemente. Siamo perfettamente equipaggiati. Siamo caldamente avvolti in un mantello; siamo protetti dal vento e dalla pioggia. Siamo soli. Ora è il momento della resa dei conti. Ora io, che presiedo la compagnia, vado a mettere in ordine i trofei che tutti abbiamo portato. Vediamo; c’è stata una grande quantità di bellezza portata oggi: casolari; scogliere che si ergono verso il mare; campi marmorizzati; campi screziati; cieli di piume rosse; tutto questo. E anche la scomparsa e la morte dell’individuo. La strada che scompare e la finestra illuminata per un secondo e poi il buio. E poi c’è stata l’improvvisa luce danzante, che era appesa nel futuro. Quello che abbiamo fatto allora oggi”, dissi, “è questo: quella bellezza; la morte dell’individuo; e il futuro. Guardate, farò una piccola figura per la vostra soddisfazione; eccola che arriva. Vi soddisfa questa piccola figura che avanza attraverso la bellezza, attraverso la morte, fino al futuro economico, potente ed efficiente, quando le case saranno pulite da un soffio di vento caldo? Guardatelo, lì sulle mie ginocchia”. Ci sedemmo e guardammo la figura che avevamo fatto quel giorno. Grandi lastre di roccia a picco, con ciuffi di alberi, la circondavano. Fu per un secondo molto, molto solenne. In effetti sembrava che la realtà delle cose fosse esposta lì sul mio mantello. Un brivido violento ci percorse; come se una carica di elettricità fosse entrata in noi. Gridammo insieme: “Sì, sì”, come se affermassimo qualcosa, in un istante di riconoscimento.

E poi il corpo che era stato silenzioso fino a quel momento cominciò il suo canto, quasi all’inizio basso come il rumore delle ruote: “Uova e pancetta; toast e tè; fuoco e bagno; fuoco e bagno; lepre in salmì”, continuava, “e gelatina di ribes rosso; un bicchiere di vino con caffè a seguire, con caffè a seguire – e poi a letto e poi a letto”.

“Andatevene”, dissi ai miei presenti. “Il vostro lavoro è finito. Vi congedo. Buonanotte”.

E il resto del viaggio si svolse nella deliziosa compagnia del mio corpo.

(Titolo originale: Evening Over Sussex: Reflections in a Motor Car, traduzione a cura di zero37 (c) 2022)

La raccolta Morte della Falena che comprende anche questo racconto è disponibile presso l’editore Xedizioni, in edizione tascabile.

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