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Bomba o non bomba

Questa è la ministoria della più spaventosa arma di distruzione di massa mai inventata dall’uomo. La bomba atomica all’Uranio con tutti i suoi derivati. Uno solo di questi ordigni fu in grado di radere completamente al suolo una città come Hiroshima, e subito dopo un altro ribadì il concetto su Nagasaki. Ma erano bombe, tutto sommato, piccole, come vedremo in fondo.

Siamo verso la fine degli anni ’30 del Novecento. Le ricerche nel campo della fisica nucleare sono avanzatissime in Europa, grazie a gruppi di ricerca disseminati nei vari stati: in Italia col gruppo di Enrico Fermi; in Germania con Heisenberg e tanti altri; in Danimarca con Bohr e altri. Senza dimenticare Einstein, tedesco di nascita ma svizzero e poi americano per scelta, e altri ancora. Quasi tutti studiosi entusiasti che arrivarono a un certo punto a capire che l’atomo non era una pallina solida, indivisibile, ma aveva un nucleo che si poteva rompere, e facendolo emetteva energia, non solo, ma emetteva in certe circostanze anche altre particelle, nuove per i fisici, che si chiamavano neutroni. Questi neutroni avevano un potere straordinario: essendo privi di carica potevano funzionare come proiettili in grado di frantumare altri nuclei atomici. In pratica: se riuscivi a demolire un atomo lanciandogli contro qualcosa, poi poteva partire una reazione a catena in cui i neutroni emessi dal primo atomo provocavano altre scissioni che a loro volta ne provocavano altre negli atomi circostanti. Alcuni elementi si prestavano meglio in quanto dotati di nuclei molto pieni di neutroni, per esempio un particolare isotopo dell’Uranio, oppure un suo derivato artificiale, il famigerato Plutonio 239. Vennero chiamati elementi fissili perché era relativamente facile spezzarli. Per ottenere l’innesco della reazione a catena serviva mettere insieme una massa sufficiente dell’elemento. Nel 1939 già alcuni esperimenti in laboratorio erano stati fatti, con piccolissime quantità di uranio. Cosa ci si poteva fare? Due cose essenzialmente: imbrigliando l’energia prodotta si potevano costruire motori; lasciandola libera di diffondersi nella materia si potevano costruire bombe. Tutto ciò era chiaro fin da allora. Ciò che non era chiaro era il metodo da seguire per ottenere l’uno o l’altro scopo.

Tra l’altro, questi risultati della fisica di allora si possono vedere come il coronamento di un sogno inseguito fin dal medioevo da parte degli alchimisti: quello di riuscire a trasformare la materia: la trasmutazione degli elementi.

Ma lasciamo la fisica e occupiamoci di storia e di geopolitica. Come andò che siano stati gli americani i primi a realizzare l’arma? Perché non ci arrivò la Germania nazista? o l’Unione Sovietica? Qui entra in ballo la scena politica di allora che servì tra l’altro a alimentare un clamoroso gioco degli equivoci. Cominciamo proprio dalla Germania, il cuore dell’Europa sia dal punto di vista scientifico, sia da quello politico.

È vero: i fisici tedeschi erano più avanti di tutti negli anni ’30. Purtroppo per loro, però, per questioni puramente ideologiche Hitler, da poco al potere col suo partito nazionalsocialista, non vedeva di buon occhio quella che chiamava “fisica ebraica”, e promuoveva al suo posto una fisica “tedesca”, più pura e incontaminata. Si dà il caso che fosse proprio la fisica ebraica a portare avanti la scienza nucleare. Il risultato fu che la fisica atomica fu poco finanziata e procedette lentamente, anche perché molti fisici dovettero emigrare a causa dell’antisemitismo, e altri furono semplicemente arruolati e mandati a combattere, con scarsa lungimiranza. Qualcuno di origini russe fu trattenuto in Unione Sovietica alla prima occasione, creando un nucleo che si sviluppò notevolmente dopo la guerra. Inoltre, la ricerca hitleriana puntava più sulla fabbricazione di motori atomici piuttosto che su bombe. Ma questo stato di cose non era per niente noto agli Alleati. Nella segretezza di spionaggio e controspionaggio si era creata la certezza che i nazisti fossero molto avanti nella costruzione dell’arma nucleare.

Fu così che gli Stati Uniti decisero di partecipare alla gara, con un progetto segreto che partì nel 1939 con poche risorse: il famoso Progetto Manhattan, in collaborazione con Regno Unito e Canada. Scopo: costruire una bomba atomica per vincere la guerra. Nel giro di pochi mesi il progetto diventerà colossale: centotrentamila persone coinvolte e alcuni miliardi di dollari di allora, l’equivalente di oltre 60 miliardi di oggi. Moltissimi scienziati di diverse nazionalità, numerosi militari, tecnici delle varie specializzazioni, agenti dei servizi segreti eccetera. Il tutto a Los Alamos, in una zona desertica del Nuovo Messico. Ci hanno scritto dei libri, fatto dei film. Un tale coinvolgimento di uomini, capitali e industrie lo si vedrà nuovamente solo ai tempi della “corsa alla Luna”. Gli americani, si sa, amano le corse.

Un bellissimo libro, Gli apprendisti stregoni di Robert Jungk (per l’Italia Einaudi 1958) è il primo resoconto di quelle vicende scientifiche, umane e sociali che portarono alla fine del 1944 ad avere pronta una spaventosa arma di distruzione. Per fortuna si trova ancora facilmente nel mercato dell’usato o nelle biblioteche. Delinea tra l’altro una biografia dei vari protagonisti della vicenda, supportato da numerose interviste e dalla consultazione di documenti ancora freschi. Allora erano ancora quasi tutti vivi. Consigliatissimo.

Quando gli Alleati occuparono la Germania ormai in rotta, si accorsero che i tedeschi non avevano combinato un bel nulla in campo nucleare. Ma l’arma micidiale era ormai pronta. Restava una resistenza, alquanto fiacca ma indomita, dei giapponesi. È vero che ormai era possibile bombardare il Giappone con armi convenzionali ogni volta che lo si voleva, e che sarebbe stata solo una questione di settimane prima della capitolazione, ma i generali americani, e molti dell’equipe scientifica del Manhattan spingevano. Fu così che si decise di usare l’arma, anche se praticamente fuori tempo massimo.

Un passo del libro che abbiamo citato racconta come furono scelte le città candidate alla distruzione atomica: tale diametro, tale tipologia di costruzioni, tale numero di abitanti. Inoltre, una volta scelte, andavano mantenute intere fino al giorno stabilito, quindi furono risparmiate da bombardamenti convenzionali, in una sorta di cinica misericordia. Tra queste vi erano Hiroshima e Nagasaki, ma anche altre tra cui Kyoto, che poi alla fine verrà risparmiata per intercessione di un appassionato di arte giapponese.

Ma perché due bombe? Non sarebbe bastata una? Le ragioni addotte dagli storici sono varie, tra cui quella di dimostrare ai giapponesi che l’America era in grado di distruggere sistematicamente tutte le città, una dopo l’altra. Ma la ragione vera è un’altra. Le bombe pronte erano due e solo due, ed erano intrinsecamente diverse tra loro. Una era all’uranio e utilizzava un particolare innesco “a proiettile”, da cui la forma allungata. Fu battezzata “Little Boy”. La seconda era al plutonio, aveva un innesco completamente diverso (“a implosione”), da cui la forma più rotonda. Fu battezzata “Fat Man”. Per completare il programma e consegnare le relazioni finali queste due bombe andavano entrambe utilizzate in un’azione bellica. Per questo anche Nagasaki fu distrutta, quando già l’Imperatore giapponese aveva deciso per la resa incondizionata.

Fu questo il tragico inizio dell’Era Atomica. In quanto a bombe, negli anni immediatamente successivi lo stesso gruppo di scienziati del progetto Manhattan metterà a punto un nuovo progetto, che usa le bombe atomiche a fissione solo come innesco per un’arma mille volte più micidiale: la bomba termonucleare all’idrogeno, in grado di sviluppare la potenza equivalente di milioni di tonnellate di tritolo, imitando i processi di fusione che alimentano le stelle e il Sole. Nuovamente ci sarà una gara, quella che darà il via alla corsa agli armamenti atomici e alla Guerra Fredda tra Usa e Urss. Le bombe termonucleari a due stadi, e altre a tre stadi ancora peggiori, sono quelle che stanno oggi nelle testate dei missili che minacciano tutto il mondo. Sono decine di migliaia, ma basterebbero poche decine per distruggere un intero continente. Ma questa è un’altra storia.

(Zero37, dicembre 2022)

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