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La schiavitù vista da Dickens

Nel 1842 Charles Dickens, scrittore ormai affermato, affronta un viaggio di esplorazione degli Stati Uniti. Ci va col primo steamer che effettuava un servizio di linea tra l’Europa e le Americhe: il battello di legno a vapore Britannia, anch’esso un pezzo di storia. Era di quelli con le pale, dato che ancora non era stato inventato un modo sicuro per fare uscire l’elica da sotto lo scafo. Ma questa è un’altra storia, e avremo modo di parlarne. La compagnia era la Cunard Line, che gestirà il più famoso servizio di transatlantici, e ancora oggi unisce Southampton con New York con la grandiosa Queen Mary II.

Il lungo viaggio di Dickens attraverso gli States produrrà un ricco diario, pubblicato col titolo American Notes, tradotto anche in italiano con vari titoli e per vari editori. Ne stiamo curando pure noi una traduzione, sulla quale torneremo tra non molto. Qui prendiamo in esame un solo capitolo: quello sulla schiavitù.

Diciamolo subito: un suddito britannico non troppo ipocrita non aveva certamente molto da meravigliarsi sull’uso della schiavitù, ossia sulla sottomissione di intere popolazioni conquistate con la forza e mantenute in regime di prigionia per la produzione di ricchezza. La differenza con gli schiavi americani era che gli inglesi non importavano gli schiavi, ma li sfruttavano nelle loro terre d’origine, per esempio nelle Barbados per le piantagioni di canna da zucchero, oppure li commerciavano mediante traffici triangolari tra Africa, America e Regno Unito, dove i trafficanti arrivavano con le mani pulite ma carichi di denaro o di merci pregiate.

Ma in America era diverso. Nel 1840 la situazione era ormai diventata insostenibile. Gli schiavi neri erano diffusi, commerciati come capi di bestiame e come tali trattati, soprattutto negli Stati del Sud a forte vocazione agricola. La loro miserabile presenza era talmente evidente da suscitare nel visitatore una forte emozione. E infatti si stava preparando la guerra civile, che sarebbe scoppiata nel 1861 proprio a causa della spinta abolizionista degli stati del Nord, capeggiati dal presidente Lincoln. Ma al momento della visita di Dickens tutto ciò era ancora lontano, e i “poteri forti” di allora mantenevano caparbiamente il loro diritto di vita e di morte su una popolazione sub-umana, utile per il raggiungimento di traguardi produttivi e commerciali a costo bassissimo. Ecco cosa scrive Dickens in proposito in una nostra traduzione (avvertenza: abbiamo mantenuto la dicitura “negro”, proprio con l’accezione di schiavo, come era allora.)

CAPITOLO XVII – LA SCHIAVITÙ

I sostenitori della schiavitù in America – delle atrocità del cui sistema non scriverò una sola parola che non abbia avuto ampie prove e garanzie – possono essere divisi in tre grandi classi.

La prima è costituita da quei proprietari più moderati e razionali di bestiame umano, che ne sono entrati in possesso come altrettante monete nel loro capitale commerciale, ma che ammettono in astratto la natura spaventosa dell’istituzione e percepiscono i pericoli per la società di cui è gravida: pericoli che, per quanto lontani possano essere o per quanto tardino a manifestarsi, sono certi di abbattersi sul suo capo colpevole come il Giorno del Giudizio.

La seconda è costituita da tutti quei proprietari, allevatori, utilizzatori, compratori e venditori di schiavi che, fino a quando il sanguinoso capitolo non avrà una fine sanguinosa, li possiederanno, li alleveranno, li utilizzeranno, li compreranno e li venderanno ad ogni costo: che negano ostinatamente gli orrori del sistema in presenza di una tale massa di prove che non è mai stata portata su nessun altro argomento, e a cui l’esperienza di ogni giorno contribuisce in misura immensa; che in questo o in qualsiasi altro momento coinvolgerebbero volentieri l’America in una guerra, civile o straniera, purché avesse come unico fine e oggetto l’affermazione del loro diritto di perpetuare la schiavitù, e di frustare, sfruttare e torturare gli schiavi, senza essere messi in discussione da alcuna autorità umana, e senza essere scalfiti da alcun potere umano; che, quando parlano di libertà, intendono la libertà di opprimere i loro simili e di essere selvaggi, spietati e crudeli; e di cui ogni uomo, sul proprio terreno, nell’America repubblicana, è un despota più esigente, più severo e meno responsabile del califfo Haroun Al-Raschid (califfo delle Mille e una Notte [n.d.t.]) nella sua rabbiosa veste scarlatta.

La terza classe, e non la meno numerosa o influente, è composta da tutta quella delicata gentilità che non può sopportare un superiore e non può tollerare un uguale; da quella classe il cui repubblicanesimo equivale a dire: “Non tollererò un uomo al di sopra di me; e di quelli al di sotto, nessuno deve avvicinarsi troppo”; il cui orgoglio, in una terra in cui la servitù volontaria è evitata come una vergogna, deve essere servito dagli schiavi; e i cui diritti inalienabili possono crescere solo nei torti dei negri.

È stato talvolta affermato che, negli sforzi infruttuosi che sono stati fatti per promuovere la causa della libertà umana nella Repubblica americana (strana causa per la storia!), non si è tenuto sufficientemente conto dell’esistenza della prima classe di persone; e si è sostenuto che esse sono a malapena considerate, in quanto confuse con la seconda.  Senza dubbio è così; nobili esempi di sacrificio pecuniario e personale si sono già sviluppati tra di loro; ed è molto deplorevole che il divario tra loro e i sostenitori dell’emancipazione si sia allargato e approfondito con ogni mezzo, tanto più che tra questi proprietari di schiavi ci sono, senza dubbio, molti padroni gentili che sono teneri nell’esercizio del loro potere innaturale.  Tuttavia, c’è da temere che questa ingiustizia sia inseparabile dallo stato di cose con cui l’umanità e la verità sono chiamate a confrontarsi.  La schiavitù non è tanto più sopportabile in quanto si trovano alcuni cuori che possono parzialmente resistere alle sue influenze indurenti; né la marea indignata dell’ira onesta può fermarsi perché nel suo corso travolge alcuni relativamente innocenti, tra una schiera di colpevoli.

La posizione più comunemente adottata da questi uomini migliori tra i sostenitori della schiavitù è la seguente: “È un cattivo sistema e per quanto mi riguarda me ne libererei volentieri, se potessi; molto volentieri.  Ma non è così cattivo come lo ritenete voi in Inghilterra.  Vi fate ingannare dalle rappresentazioni degli abolizionisti.  La maggior parte dei miei schiavi è molto affezionata a me.  Direte che evidentemente non permetto che siano trattati con severità; ma vi chiedo se credete che possa essere una pratica generale trattarli in modo disumano, quando ciò comprometterebbe il loro valore e sarebbe ovviamente contro gli interessi dei loro padroni”.

È forse interesse di un uomo rubare, giocare, sprecare la propria salute e le proprie facoltà mentali con l’ubriachezza, mentire, spergiurare, assecondare l’odio, cercare una vendetta disperata o commettere un omicidio?  No. Tutte queste sono strade che portano alla rovina.  E allora perché gli uomini le percorrono? Perché queste inclinazioni sono tra le qualità viziose dell’uomo.  Eliminate, amici della schiavitù, dal catalogo delle passioni umane, la lussuria brutale, la crudeltà e l’abuso di potere irresponsabile (tra tutte le tentazioni terrene la più difficile da resistere), e quando l’avrete fatto, e non prima, ci chiederemo se sia interesse di un padrone frustare e mutilare gli schiavi, sulla cui vita e sulle cui membra ha un controllo assoluto!

Ma ancora: questa classe, insieme all’ultima che ho nominato, la miserabile aristocrazia generata da una falsa repubblica, alzano la voce ed esclamano: “L’Opinione Pubblica è sufficiente a prevenire la crudeltà che denunciate”.  L’opinione pubblica!  L’opinione pubblica negli Stati schiavisti è la schiavitù, non è vero?  L’opinione pubblica, negli Stati schiavisti, ha consegnato gli schiavi alla gentile mercé dei loro padroni.  L’opinione pubblica ha fatto le leggi e ha negato agli schiavi la protezione legislativa.  L’opinione pubblica ha intrecciato la frusta, riscaldato il ferro per la marchiatura, caricato il fucile e protetto l’assassino.  L’opinione pubblica minaccia l’abolizionista di morte, se si avventura nel Sud, e lo trascina con una corda legata intorno ai fianchi, in pieno mezzogiorno, attraverso la città.  L’opinione pubblica, pochi anni fa, ha bruciato vivo uno schiavo a fuoco lento nella città di St. Louis; e l’opinione pubblica ha mantenuto fino ad oggi sul banco degli imputati quell’apprezzabile giudice che ha incaricato la giuria, lì riunita per processare i suoi assassini, e l’ha portata ad affermare che il loro orribile atto era un atto dell’opinione pubblica e che, essendo tale, non doveva essere punito dalle leggi che il sentimento pubblico aveva stabilito.  L’opinione pubblica ha accolto questa sentenza con un urlo di applauso selvaggio e ha rimesso in libertà i prigionieri, che sono tornati a girare per la città, uomini di fama, influenza e posizione, come lo erano stati in precedenza.

Opinione pubblica! Quale classe di uomini ha un’immensa preponderanza sul resto della comunità, nel potere di rappresentare l’opinione pubblica nella legislatura? I proprietari di schiavi.  Essi inviano dai loro dodici Stati cento membri, mentre i quattordici Stati liberi, con una popolazione libera quasi doppia, ne restituiscono solo centoquarantadue.  Davanti a chi si inchinano più umilmente i candidati presidenziali, a chi si affezionano di più e per i cui gusti si rivolgono più assiduamente nelle loro servili proteste?  Sempre i proprietari di schiavi.

L’opinione pubblica! Ascoltate l’opinione pubblica del Sud libero, espressa dai suoi stessi membri alla Camera dei Rappresentanti di Washington.  “Ho un grande rispetto per il presidente”, ha dichiarato la Carolina del Nord, “ho un grande rispetto per il presidente come funzionario della Camera e un grande rispetto per lui personalmente; nient’altro che questo rispetto mi impedisce di precipitarmi al tavolo e fare a pezzi la petizione appena presentata per l’abolizione della schiavitù nel distretto di Columbia”. “Avverto gli abolizionisti”, dice la Carolina del Sud, “barbari ignoranti e infuriati come sono, che se il caso dovesse far cadere uno di loro nelle nostre mani, può aspettarsi una morte da criminale”. “Che un abolizionista entri nei confini della Carolina del Sud”, grida un terzo, “e se riusciremo a catturarlo, lo processeremo e, nonostante l’interferenza di tutti i governi della Terra, compreso il governo federale, lo impiccheremo”.

L’opinione pubblica ha fatto questa legge: ha dichiarato che a Washington, in quella città che prende il nome dal padre della libertà americana, qualsiasi giudice di pace può incatenare qualsiasi nero che passa per strada e sbatterlo in prigione: non è necessario che commetta alcun reato.  Il giudice dice: “Scelgo di considerare quest’uomo un fuggiasco” e lo rinchiude.  L’opinione pubblica, quando questo viene fatto, autorizza l’uomo di legge a pubblicizzare il negro sui giornali, avvertendo il suo proprietario di venire a reclamarlo, altrimenti sarà venduto per pagare le spese della prigione.  Ma supponendo che si tratti di un nero libero e senza proprietario, si può naturalmente presumere che venga rimesso in libertà.  No: viene venduto per ripagare il suo carceriere.  Questo è stato fatto ancora, e ancora, e ancora.  Non ha mezzi per dimostrare la sua libertà; non ha consiglieri, messaggeri o assistenza di alcun tipo; non viene fatta alcuna indagine sul suo caso, né avviata alcuna inchiesta.  Lui, un uomo libero, che potrebbe aver prestato servizio per anni e aver comprato la sua libertà, viene messo in prigione senza alcun processo, per nessun crimine e senza alcuna pretesa di reato, e viene venduto per pagare le spese della prigione.  Questo sembra incredibile, persino in America, ma è la legge.

L’opinione pubblica viene lasciata in disparte in casi come il seguente, che è stato pubblicato sui giornali:

“Interessante caso giudiziario. Un caso interessante è in corso di giudizio presso la Corte Suprema, e deriva dai seguenti fatti.  Un gentiluomo residente nel Maryland aveva concesso a una coppia di schiavi anziani una libertà sostanziale, anche se non legale, per diversi anni.  Mentre vivevano così, nacque loro una figlia, che crebbe nella stessa libertà, finché non sposò un nero libero e andò con lui a risiedere in Pennsylvania.  Ebbero diversi figli e vissero indisturbati fino alla morte del proprietario originario, quando il suo erede tentò di riprenderli, ma il magistrato davanti al quale furono portati decise che non aveva giurisdizione sul caso.  Il proprietario sequestrò la donna e i suoi figli nella notte e li portò nel Maryland”.

“Contanti per negri”, “contanti per negri”, “contanti per negri”, è il titolo degli annunci a caratteri cubitali lungo le lunghe colonne degli affollati giornali.  Le incisioni di un negro in fuga con le mani ammanettate, rannicchiato sotto un inseguitore in borghese che, dopo averlo catturato, lo afferra per la gola, diversificano piacevolmente il gradevole testo.  L’articolo principale protesta contro “l’abominevole e infernale dottrina dell’abolizione, che ripugna a ogni legge di Dio e della natura”.  La delicata mamma, che sorride di assenso a questo scritto brioso mentre legge il giornale nella sua fresca piazza, tranquillizza il figlio più piccolo che si aggrappa alle sue gonne promettendogli “una frusta con cui battere i piccoli negri”.

Mettiamo alla prova questa opinione pubblica con un altro test, che è importante da tre punti di vista: primo, perché mostra quanto siano disperatamente timidi nei confronti dell’opinione pubblica i proprietari di schiavi, nelle loro delicate descrizioni degli schiavi fuggitivi sui giornali a larga diffusione; secondo, perché mostra quanto gli schiavi siano perfettamente contenti e quanto raramente scappino; terzo, perché mostra la loro totale libertà da cicatrici, o macchie, o qualsiasi segno di crudele inflizione, come le loro immagini sono disegnate, non da abolizionisti bugiardi, ma dai loro stessi padroni sinceri.

Di seguito sono riportati alcuni esempi di annunci pubblicati sui giornali pubblici.  Sono passati solo quattro anni dall’apparizione del più vecchio di essi, e altri della stessa natura continuano a essere pubblicati ogni giorno, a frotte.

“Scappò via, la negra Caroline.  Indossava un collare con un’estremità rivolta verso il basso”.

“È scappata una donna di colore, Betsy.  Aveva una sbarra di ferro alla gamba destra”.

“È scappato il negro Manuel.  Molto segnato con i ferri”.

“Scappò via la negra Fanny.  Aveva una fascia di ferro al collo”.

“È scappato un ragazzo negro di circa dodici anni.  Aveva al collo un collare a catena con inciso ‘De Lampert'”.

“È scappato il negro Hown.  Ha un anello di ferro al piede sinistro.  Anche Grise, sua moglie, ha un anello e una catena alla gamba sinistra”.

“È scappato un ragazzo negro di nome James.  Il ragazzo era stato marchiato a fuoco prima di lasciarmi”.

“Rinchiuso in prigione, un uomo che si chiama John.  Ha uno zoccolo di ferro al piede destro che peserà quattro o cinque libbre”.

“Detenuta nella prigione della polizia la negra Myra.  Ha diversi segni di frustate e ferri ai piedi”.

“Una donna negra e due bambini sono scappati.  Pochi giorni prima che se ne andasse, l’ho bruciata con un ferro rovente sul lato sinistro del viso.  Ho cercato di fare la lettera M”.

“È scappato un negro di nome Henry, con l’occhio sinistro spento, alcune cicatrici da un coltello sul braccio sinistro e sotto di esso e molte cicatrici da frusta”.

“Cento dollari di ricompensa per un negro, Pompeo, di 40 anni.  È marchiato a fuoco sulla mascella sinistra”.

“Un negro è stato messo in prigione.  Non ha le dita del piede sinistro”.

“Scappata, una donna negra di nome Rachel.  Ha perso tutte le dita dei piedi, tranne il più grande”.

“È scappato, Sam.  Gli hanno sparato poco tempo fa alla mano e ha diversi colpi nel braccio sinistro e nel fianco”.

“È scappato il mio negro Dennis.  Il negro in questione è stato sparato al braccio sinistro tra la spalla e il gomito ed è paralizzato alla mano sinistra”.

“È scappato il mio negro Simon.  Gli hanno sparato gravemente alla schiena e al braccio destro”.

“È scappato un negro di nome Arthur.  Ha una notevole cicatrice sul petto e su ciascun braccio, fatta da un coltello; ama parlare molto della bontà di Dio”.

“Venticinque dollari di ricompensa per il mio uomo, Isaac.  Ha una cicatrice sulla fronte, causata da un colpo, e una sulla schiena, causata da un colpo di pistola”.

“È scappata una ragazza negra di nome Mary.  Ha una piccola cicatrice sull’occhio, molti denti mancanti, la lettera A è marchiata sulla guancia e sulla fronte”.

“È scappato il negro Ben.  Ha una cicatrice sulla mano destra; il pollice e l’indice sono stati feriti da una pallottola lo scorso autunno.  Una parte dell’osso è uscita.  Ha anche una o due grosse cicatrici sulla schiena e sui fianchi”.

“Detenuto alla prigione, un mulatto di nome Tom.  Ha una cicatrice sulla guancia destra e sembra essere stato bruciato con la polvere sul viso”.

“Scappato, un negro di nome Ned.  Tre dita della sua mano sono incastrate nel palmo a causa di un taglio.  Ha una cicatrice sulla nuca, quasi mezza rotonda, fatta da un coltello”.

“È stato messo in prigione un negro.  Dice di chiamarsi Josiah.  Ha la schiena molto sfregiata dalla frusta; ha marchiato la coscia e i fianchi in tre o quattro punti, così (J M).  Il bordo dell’orecchio destro è stato morso o tagliato”.

“Cinquanta dollari di ricompensa per il mio compagno Edward.  Ha una cicatrice all’angolo della bocca, due tagli sul braccio e sotto il braccio e la lettera E sul braccio”.

“È scappato, il negro Ellie.  Ha una cicatrice su un braccio per il morso di un cane”.

“Sono fuggiti dalla piantagione di James Surgette i seguenti negri: Randal, ha un orecchio tagliato; Bob, ha perso un occhio; Kentucky Tom, ha una mascella rotta”.

“È scappato, Anthony.  Un orecchio tagliato e la mano sinistra tagliata con un’ascia”.

“Cinquanta dollari di ricompensa per il negro Jim Blake.  Ha un pezzo di orecchio tagliato e il dito medio della mano sinistra tagliato fino alla seconda articolazione”.

“Una donna negra di nome Maria è scappata.  Ha una cicatrice su un lato della guancia, dovuta a un taglio.  Alcune cicatrici sulla schiena”.

“È fuggita la mulatta Maria.  Ha un taglio sul braccio sinistro, una cicatrice sulla spalla sinistra e due denti superiori mancanti”.

A spiegazione di quest’ultima descrizione dovrei forse dire che tra le altre benedizioni che l’opinione pubblica assicura ai negri c’è la pratica comune di strappare loro i denti con la violenza.  Fargli indossare collari di ferro giorno e notte e tormentarli con i cani sono pratiche quasi troppo comuni per essere menzionate.

“È scappato, il mio uomo Fountain.  Ha dei buchi nelle orecchie, una cicatrice sul lato destro della fronte, è stato colpito nella parte posteriore delle gambe ed è segnato sulla schiena dalla frusta”.

“Duecentocinquanta dollari di ricompensa per il mio negro Jim.  È molto segnato da una pallottola nella coscia destra.  Il colpo è entrato all’esterno, a metà strada tra le articolazioni dell’anca e del ginocchio”.

“Portato in prigione, John.  L’orecchio sinistro è stato tagliato”.

“Preso un negro.  Ha molte cicatrici sul viso e sul corpo e ha l’orecchio sinistro tagliato”.

“Scappata, una ragazza nera di nome Mary.  Ha una cicatrice sulla guancia e l’estremità di un dito del piede tagliata”.

“È scappata la mia donna mulatta, Judy.  Ha il braccio destro rotto”.

“È scappato il mio negro, Levi.  La sua mano sinistra è stata bruciata e credo che l’estremità dell’indice sia stata tagliata”.

“È scappato un negro di nome Washington.  Ha perso una parte del dito medio e l’estremità del mignolo”.

“Venticinque dollari di ricompensa per il mio uomo, John.  Ha la punta del naso mozzata”.

“Venticinque dollari di ricompensa per la schiava negra Sally.  Cammina come se fosse storpia nella schiena”.

“È scappato, Joe Dennis.  Ha una piccola tacca in un orecchio”.

“È scappato il negro Jack.  Ha un piccolo taglio sull’orecchio sinistro”.

“È scappato un negro di nome Ivory.  Ha un piccolo pezzo tagliato dalla parte superiore di ogni orecchio”.

A proposito di orecchie, posso osservare che un illustre abolizionista di New York ricevette una volta l’orecchio di un negro, tagliato vicino alla testa, in una lettera postale ordinaria.  Era stato inviato dal gentiluomo libero e indipendente che ne aveva causato l’amputazione, con la cortese richiesta di inserire l’esemplare nella sua “collezione”.

Potrei ampliare questo catalogo con braccia rotte, gambe spezzate, carne squarciata, denti mancanti, schiene lacerate, morsi di cani e marchi di ferri roventi innumerevoli; ma poiché i miei lettori saranno già sufficientemente nauseati e respinti, passerò a un altro ramo dell’argomento.

Questi annunci, di cui si potrebbe fare una raccolta simile per ogni anno, mese, settimana e giorno, e che vengono letti freddamente nelle famiglie come cose ovvie e come parte delle notizie e delle chiacchiere correnti, serviranno a dimostrare quanto gli schiavi traggano vantaggio dall’opinione pubblica e quanto questa sia tenera nei loro confronti.  Ma può valere la pena di indagare su come i proprietari di schiavi e la classe sociale a cui appartiene un gran numero di loro, si attengano all’opinione pubblica nel loro comportamento, non nei confronti dei loro schiavi ma tra di loro; come siano abituati a frenare le loro passioni; quale sia il loro comportamento tra di loro; se siano feroci o gentili; se i loro costumi sociali siano brutali, sanguinari e violenti, o portino l’impronta della civiltà e della raffinatezza.

Qui il capitolo prosegue con una serie di fatti di cronaca di una violenza spaventosa, segno della facilità con cui, secondo Dickens, una popolazione abituata a usare metodi brutali verso i propri schiavi, può poi usare con la stessa disinvoltura le stesse armi e gli stessi metodi contro i propri simili. A quanto pare, il percorso per uscire da tutto ciò e voltare pagine definitivamente è lungo e complesso, e forse quasi duecento anni dopo non è ancora terminato.

(Zer037, settembre 2023)

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