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Polvere di luna

Quando i primi astronauti cominciarono a camminare sulla Luna le cronache di quei giorni non fecero cenno ai dettagli: l’Uomo era sulla Luna e ci passeggiava da trionfatore, lasciando sul suolo le impronte delle scarpe. Una di queste impronte continua da allora a fare il giro del mondo: è quella dello scarpone di Armstrong impressa su uno strato di spessa polvere sottilissima. In questo breve articolo ci concentriamo proprio sulla polvere, che si dimostrò per i poveri astronauti molto più noiosa di quello che ci si potrebbe aspettare. Noiosa e misteriosa.

Gli astronauti dell’Apollo 11 Neil Armstrong e Buzz Aldrin sono stati i primi esseri umani a sperimentare il disagio dovuto alla polvere lunare. Questa ricoprì in pochi minuti le tute spaziali e gli stivali, e presto ricoprì anche gran parte dell’interno del loro lander Aquila. I due erano così infastiditi che dormirono con il casco per evitare di respirare la polvere lunare per tutta la notte. Nelle missioni successive, gli astronauti notarono che la polvere era estremamente aggressiva: graffiava le visiere e danneggiava le guarnizioni delle scatole di rocce che preparavano per portarle sulla Terra. La polvere lunare provocava una forma di febbre da fieno, facendo lacrimare gli occhi e prudere la gola agli astronauti. A differenza della polvere terrestre, che è costituita per lo più da materiale organico, la polvere lunare è tutta roccia polverizzata – e non esistono acqua o vento per ammorbidire i bordi dei grani di polvere. Era come respirare carta vetrata.

Ma gli astronauti sono stati fortunati perché questo non era altro che un fastidio. Gli scienziati della NASA li avevano avvertiti che la polvere lunare poteva essere reattiva all’ossigeno. Ad Aldrin e Armstrong fu detto di essere prudenti riguardo al loro campione di emergenza, una piccola pallina di Luna che Armstrong infilò in tasca un attimo dopo essere uscito dall’Eagle. Dopo essere rientrati, Aldrin e Armstrong osservarono attentamente la polvere mentre la cabina dell’Aquila si pressurizzava. Se qualcosa avesse cominciato a bruciare, avrebbero dovuto aprire il portello e gettarlo fuori. Ma entrambi gli uomini ne erano completamente ricoperti.

“Sembrava che la roba si attaccasse alle cose e rimanesse lì”, ha detto Aldrin. “Non c’era speranza di toglierla”. Se qualcosa avesse preso fuoco, sarebbero state le loro tute.

La polvere non era reattiva all’ossigeno, ma aveva un odore simile. La Luna ha un aroma acre, come di fuochi d’artificio appena esplosi. È così che Aldrin descrisse l’odore che si respirava nella capsula dopo che lui e Armstrong erano rientrati dalla loro breve permanenza e si erano tolti il casco. Armstrong lo descrisse come “l’odore di cenere bagnata”, come un campeggio al momento di andare a dormire dopo aver spento il fuoco. L’astronauta dell’Apollo 17 Harrison “Jack” Schmitt lo ha definito l’odore della polvere da sparo.

La Luna è costantemente bombardata dalla luce solare e dalle radiazioni provenienti da altre stelle e fonti cosmiche, ed è colpita dagli asteroidi in un processo chiamato “gardening“, una specie di continuo dissodamento. Tutte queste azioni fanno a pezzi i frammenti della “regolite”, il termine tecnico per indicare la polvere lunare. La regolite lunare è composta per circa il 43% da ossigeno, quindi la maggior parte degli atomi che vengono prodotti sono atomi di ossigeno. Lo stesso vale per la polvere da sparo. Quando si accende, le sostanze chimiche presenti nella polvere da sparo rilasciano abbondante ossigeno, alimentando ulteriormente l’esplosione. Quello che gli astronauti sentivano era l’odore persistente dei frammenti di polvere fatti a pezzi da piccoli proiettili invisibili di radiazioni.

La questione è ancora oggetto di dibattito scientifico, in parte perché le rocce lunari non hanno più odore. Quando uno scienziato apre un sacchetto con una roccia lunare oggi, non importa con quanta cura sia stata tagliata e impacchettata per essere distribuita dal Lunar Sample Laboratory della NASA, non c’è l’odore dell’ignoto. Nessuno può dire con certezza perché l’odore svanisca una volta che le rocce sono esposte all’uomo e alla Terra.

Ogni missione Apollo ha fatto atterrare e ripartire i suoi astronauti utilizzando i razzi del lander. L’arrivo e la partenza dalla Luna hanno sollevato enormi nuvole di polvere. Alan Bean è stato il quarto uomo ad aver camminato sulla luna. Faceva parte dell’equipaggio dell’Apollo 12. Mentre si avvicinava al precedente lander noto come Surveyor, notò che era diventato marrone nei due anni trascorsi sulla superficie lunare. Ciò era avvenuto a causa delle radiazioni provenienti dal Sole e da fonti cosmiche. Ma subito dopo l’atterraggio si accorse che il modulo lunare dell’Apollo 12, atterrando a poche decine di metri di distanza, aveva sparato abbastanza polvere e a tale velocità che aveva “sabbiato” il Surveyor. Parte del marrone era stato spazzato via, come se qualcuno avesse strofinato il Surveyor con lana d’acciaio. Effetto della sabbia dai bordi taglientissimi, e della mancanza di atmosfera. Phil Metzger, fisico planetario della University of Central Florida, ha scoperto che ogni atterraggio ha fatto volare il suolo lunare, accelerandolo tra i 400 metri al secondo e i 3 chilometri al secondo. Quest’ultimo numero è importante: 2,4 chilometri al secondo è la velocità di fuga lunare. È la velocità con cui qualcosa deve muoversi per sfuggire alla gravità della Luna e volare via. Ciò significa che ogni missione Apollo ha sollevato abbastanza polvere e l’ha spinta abbastanza velocemente da mandarla in orbita. Parte di quella polvere sta ancora girando intorno alla Luna. Una parte sta girando intorno al Sole. E una parte potrebbe anche essere tornata sulla Terra, da dove è venuta, quattro miliardi e mezzo di anni fa.

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Vorremmo dare un suggerimento agli scrittori e agli sceneggiatori di fantascienza: la prossima volta che fate svolgere una scena sul suolo lunare, non dimenticate “quell’impiastro” di polvere puzzolente di cui non ci si libera e che rovina ogni oggetto, che sia fermo o che si muova.

L’altro suggerimento, che diamo ai nostri lettori, è quello di leggere il libro di Rebecca Boyle Our Moon: a human history (H&S Non Fiction, January 2024). Si tratta di un testo poco astronomico e molto umano, e fa capire quanto ciascuno di noi deve all’esistenza di questo compagno di viaggio, inospitale, solitario, scarnificato ma sempre presente, a scandire i nostri tempi e a regolare la nostra evoluzione. È da quel libro che abbiamo estratto le informazioni di questo articolo. Potete trovarlo sulle grandi catene librarie online (per esempio qui), anche in ebook o in audiobook. Per ora non esiste un’edizione italiana.

Zer037, marzo 2024

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