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La Rivoluzione Verde

Circa un anno fa abbiamo pubblicato un articolo sull’esplosione demografica, che ha fatto schizzare la popolazione umana secondo una curva ripidissima che ancora non accenna a stabilizzarsi, anzi! Nel 2050 si prevedono 10 miliardi di bocche da sfamare. Nello stesso articolo abbiamo visto l’importanza delle coltivazioni intensive, e delle tecnologie chimiche e genetiche che consentono di accrescere la produttività dei campi. Tutto ciò fa parte della cosiddetta “Rivoluzione Verde”, una sorta di risposta dell’Occidente alla “Rivoluzione Rossa” del Comunismo. Le rivoluzioni, si sa, cambiano tutto e lo fanno in un tempo brevissimo. Questa cosiddetta “verde” sviluppa tutta la sua potenza eversiva dopo la seconda Guerra, e comincia in Italia. Ne parliamo qui brevemente, ma prima due aneddoti personali.

Il nostro amico S. di Argenta (Ferrara), ricorda la sua infanzia tra i campi di grano. Lui e i suoi amici, bambini, giocavano a nascondersi in mezzo alle spighe, che in primavera erano molto più alte di loro. La vecchia foto qua sopra può dare un’idea. Questo fino al 1974. Nel 1975, improvvisamente, gli stessi campi non offrivano più alcun nascondiglio. È vero che S. era cresciuto nel frattempo, tanto che oggi supera il metro e ottanta, ma qualcosa era capitato anche al grano: era stato, come si dice, “nanizzato”. La data del 1975 è quella che viene indicata oggi come demarcazione tra “grani antichi” e “grani moderni”.

Il secondo aneddoto riguarda la pasta. Mio padre negli anni ’60 curava gli approvvigionamenti per le carceri, e doveva controllare che i fornitori non frodassero l’amministrazione con prodotti scadenti. Una delle principali categorie era la pasta, che come sappiamo deve essere fatta con semola di grano duro. Ebbene, in quegli anni molti produttori mischiavano alla semola farine di grano tenero – o peggio: solo grano tenero e colla di pesce – e cercavano di vendere una pasta che non teneva la cottura e, come diceva mio padre, “diventava colla”. Il motivo è semplice: il grano duro era molto costoso. Tutto questo finì proprio negli anni del “grano basso”, e oggi è praticamente impossibile trovare della pasta secca, anche nel discount, che non sia fatta solo di grano duro. Questo non perché i produttori siano diventati improvvisamente tutti onesti, ma perché il prezzo della materia prima è sceso moltissimo. La provenienza del grano è un’altra storia.

Dunque la rivoluzione verde ha messo improvvisamente a disposizione del mondo un frumento di altissima qualità, basso costo e altissimo rendimento. La varietà del 1975 fu chiamata “Creso” – ora non più coltivata, ma presente nel DNA di tutti i suoi successori. Questa cultivar che stupì il piccolo S. è stata sviluppata in Italia, e deriva da un illustre antenato di anteguerra: il grano “Senatore Cappelli”, di cui tutti abbiamo sentito parlare e che è stato tra l’altro protagonista della “battaglia del grano” del periodo fascista. Il padre del “senatore” fu il grande genetista Nazareno Strampelli, orgoglio italiano. Anche il patrimonio genetico del “senatore” è presente in tutti i grani duri moderni, e questo spiega l’alta qualità della pasta secca che ormai si può comprare dappertutto senza problemi, almeno in Italia, dato che all’estero le norme sono differenti e si trova anche pasta di grano tenero – i gusti sono gusti.

Ma come è avvenuto tutto ciò? Da dove è partito Strampelli per le sue sperimentazioni? Le selezioni si sono sempre fatte, da che esiste la agricoltura, ossia dal Neolitico. L’idea di Strampelli e di altri genetisti dell’inizio del secolo scorso fu di unire alle selezioni le “ibridazioni”, ossia gli incroci tra specie differenti che non si sarebbero mai incontrate spontaneamente, per esempio un grano italiano ad alta resa con uno africano ad alta resistenza. Da qui, mediante un paziente lavoro di impollinazioni, controlli, fallimenti, trovate geniali e un po’ di fortuna Strampelli riuscirà a ottenere circa ottocento varietà di vegetali e ortaggi nuovi e favorevoli, tra cui il famoso “senatore” che gli darà fama imperitura. Ma questa ormai è preistoria, e giustifica il nome di “grano antico” che viene attribuito al risultato delle sue ricerche. È nel dopoguerra che la vera rivoluzione comincia.

Cosa ha permesso ai genetisti di pigiare sul pedale dell’acceleratore? Si chiama “miglioramento genetico”, e – attenzione – non ha niente a che fare con gli OGM (Organismi geneticamente modificati). Sappiamo che in natura, ogni tanto, avvengono delle mutazioni spontanee negli esseri viventi. È questa la molla dell’evoluzione. Si tratta di modifiche del DNA dovute a raggi cosmici, esposizione a radiazione X o gamma o altre sorgenti ionizzanti che sono presenti naturalmente nell’ambiente. Nessuno può prevedere se e quando si verificano questi eventi, e che effetti avranno. Immaginiamo ora di costruire una “macchina” in grado di somministrare a un organismo una valanga di radiazioni, milioni di volte più frequenti di quelle naturali. Per esempio utilizzando raggi X o gamma, altamente ionizzanti tanto da essere utilizzati per sterilizzare, ossia per uccidere qualsiasi forma di vita. Ben dosati, però, in un campo circolare al cui centro si pone una sorgente e tutto intorno, a cerchi concentrici, le piantine da bombardare. Si otterranno migliaia di mutazioni genetiche, la maggior parte delle quali, manco a dirlo, saranno deleterie per la pianta. Alcune però saranno favorevoli, e potranno essere utilizzate, con successive ibridazioni e selezioni, per ottenere una pianta nuova mai esistita in natura. È così che nei primi anni ’70 da un fitto bombardamento “X” sul “Senatore Cappelli” – e successive ibridazioni – nasce un nuovo frumento a “paglia corta”: il Creso. In cosa è cambiato il DNA? Non si sa. A proposito, sapevate che il DNA del frumento è molto più complesso del nostro? Per questo si dice, scherzando ma non troppo, che sia il frumento ad avere domesticato l’Uomo, e non il contrario. Se il risultato che conta è quello di invadere il pianeta, il grano c’è riuscito alla grande.

Tornando agli esperimenti, che in Italia si fecero anche in un famigerato “Campo Gamma” dell’ENEA alla Casaccia, il risultato, come abbiamo visto, sono organismi nuovi. Dunque brevettabili. Gli Usa ci si dedicarono con ampi mezzi e gigantesche organizzazioni, le multinazionali dell’agricoltura. Monsanto, Bayer eccetera si accaparrano nella seconda metà del Novecento i diritti di sfruttamento di tutti i prodotti cerealicoli artificiali, costringendo intere nazioni a pagare diritti di semina e di molitura per ciascuna delle cultivar. Le compagnie semenziere non hanno scrupoli: forniscono il loro prodotto al loro prezzo, e proibiscono l’utilizzo di sementi non direttamente fornite da loro. Nel nostro piccolo abbiamo anche in Italia le nostre compagnie monopoliste, per esempio quella che alcuni anni fa si intestò il “senatore” impedendo di fatto a numerose aziende di utilizzare il grano che possedevano già. Anche il riso “Venere” è coperto da brevetto e può essere acquistato solo attraverso la nota casa produttrice di riso. È questa, forse, la vera “Rivoluzione Verde”.

Tutto ciò ha ovviamente una controparte chimica, e di grande rilievo. Il contadino che vuole coltivare in Italia una varietà di grano moderno, deve acquistare dal fornitore ufficiale tutto un kit, ossia le sementi più tutti i trattamenti necessari dalla semina al raccolto. Non può far da sé, altrimenti fioccano le penali. Il grano infatti resta di proprietà del fornitore fino alla molitura, momento in cui il contadino paga le royalties e si sgancia. Insomma in molti casi si coltiva per conto terzi, un po’ come avveniva al tempo dei mezzadri. Quindi quando si parla di “grano 100% italiano” o “paese di produzione: Italia”, in realtà non si dice niente di speciale, se non che “tecnicamente” la coltivazione di quel frumento è avvenuta su territorio italiano, anche se di italiano non ha proprio niente. L’unica differenza riguarda i trattamenti finali pre-mietitura. Nei Paesi del Nord come il Canada si utilizza il glifosato per aiutare l’essicazione delle cariossidi. In Italia non serve perché abbiamo più sole, e infatti è proibito. Pare che sia cancerogeno, o almeno sospetto di cancerogenicità. Questo vantaggio otteniamo quando acquistiamo pasta con la dicitura “grano 100% italiano”. Il resto è tutto uguale.

Ha senso pensare di tornare ai “grani antichi”? Il Cappelli di cui abbiamo parlato non è propriamente antico, anzi costituisce il punto di svolta verso i grani moderni, date anche le caratteristiche di resistenza e resa per ettaro. Infatti lo coltivano in tanti, pagando le relative royalties – anche allo Stato italiano, che detiene parzialmente il brevetto. Ma ci sono tanti veri grani antichi, a partire dal monococco (piccolo farro), molti dei quali ancora si coltivano in piccole aziende. Il problema di questi grani è lo stesso che ne ha causato il declino: scarsa resa, difficoltà alla coltivazione meccanizzata, vulnerabilità rispetto agli agenti atmosferici (i grani a paglia lunga si “allettano” facilmente) e agli infestanti come certi funghi: tutte cose che nella storia umana hanno causato devastanti carestie. Dunque, indietro non si torna, tanto vale imparare a convivere col moderno, che ha i suoi vantaggi. Per i romantici restano i fornitori “bio” che mettono sugli scaffali i vecchi grani siciliani, tuttora esistenti e liberi da brevetti: Russello, Biancolilla, Castiglione… La Sicilia era nota in antichità come “granaio di Roma”, e la sua vicinanza col nord Africa aveva favorito fin da allora gli incroci e le ibridazioni spontanee.

E… il famigerato glutine? Ne vogliamo parlare? Non qui, meglio. Magari un’altra volta. Intanto guardatevi questo video simpatico e istruttivo della dottoressa Monia Caramma che parla proprio di grani antichi e moderni.

Zer037, agosto 2025

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