
… que el burro vuela: vuela bajito, pero vuela. Detto che esiste in tutte le lingue, ma suona molto bene in spagnolo. Insomma, se lo dice il capo, anche l’asino vola, e non perché sia quella la verità, ma per una serie di motivi, tra cui ovviamente il potere, ma anche l’autorevolezza e altri fattori. In ambito scientifico si possono trovare tanti esempi a riprova, e spesso coinvolgono capi di grande serietà e preparazione. Qui parliamo di Sole, anzi questa doveva essere la terza puntata de I Segreti di Re Sole, di cui abbiamo pubblicato le prime due puntate qui e qui.
Il capo in questione è nientemeno che il grande Lord Kelvin. Il “giovane” studioso che deve ammettere di aver visto gli asini volare è nientemeno (anche lui!) che Charles Darwin.
Ma prima di occuparci di questi due scienziati dell’Ottocento, esaminiamo rapidamente un quesito che era rimasto in sospeso nella puntata precedente: di quanti metri cubi di nucleo solare avrei bisogno per avere l’energia sufficiente per la mia moka di caffè? Consideriamo una caffettiera da 3 tazze, e mettiamo che utilizzi un decimo di litro d’acqua a 20°C, da portare all’ebollizione. Sono 80 gradi di differenza, il che significa circa 8 chilocalorie per il piccolo serbatoio della moka. Piccola quantità d’energia, che la cucina di casa fornisce in pochi minuti. Vediamo il nucleo solare. Se facciamo il rapporto tra l’energia totale emessa ogni secondo, la superficie e il volume, e immaginiamo che la densità sia costante, salta fuori un numero piccolissimo: ogni grammo di materia solare produce in media meno di un decimillesimo di caloria al secondo, ossia ne servono oltre 18 tonnellate per fornire in un tempo ragionevole le 8 Kcal per il mio caffè. Immaginatevi 18 metri cubi di plasma solare con sopra la mia caffettiera. Il nostro corpo in proporzione produce molta più energia. Questi calcoli li fece George Gamow, nel suo libro A Star Called the Sun (1964), uno dei primi libri divulgativi sull’argomento. Insomma, in un senso o nell’altro i numeri che riguardano il sole stordiscono sempre un pochino. Questo perché il sole è grande al di là di ogni immaginazione, e deve essere lentissimo nelle sue reazioni interne in modo da durare molto a lungo. E questo ci porta ai due scienziati di cui si parlava all’inizio.
Tutti conosciamo Charles Darwin, il padre della teoria dell’evoluzione naturale, pietra miliare nello sviluppo scientifico. Non occorre aggiungere niente qui. La prima edizione de L’origine delle specie uscì nel 1858, e gli procurò numerosi nemici. Della chiesa non c’è da stupirsi, dato che la teoria metteva in dubbio l’atto creativo, ma anche altre categorie si sentirono attaccate dalla narrazione di Darwin. Per esempio il mondo dei fisici, capeggiato proprio dal grande William Thomson, in seguito noto come Lord Kelvin, uno dei padri della termodinamica. Lo conosciamo tutti almeno di nome, dato che la cosiddetta temperatura “assoluta” si misura in gradi Kelvin, appunto. Negli anni in cui Darwin viaggiava a bordo del Beagle, Kelvin studiava, tra l’altro, il sole. Costruì un modello termodinamico-gravitazionale, che spiegava abbastanza bene l’energia emessa dalla nostra stella, e ne stabiliva una possibile vita: non più di qualche centinaio di milioni di anni in tutto. Il suo articolo uscì nel 1862, tre anni dopo la pubblicazione dell’Origine. Conteneva anche una stima molto accurata dell’età della Terra: 98 milioni di anni. Troppo poco per contenere tutte le fasi dell’evoluzione biologica e geologica di cui aveva bisogno Darwin. Ma tant’è: che il biologo se ne facesse una ragione. “A meno che, concludeva Kelvin ironicamente, nuove sorgenti di energia a noi ora sconosciute vengano preparate nel grande laboratorio della creazione”. In questa frase il grande fisico fu profetico.
Darwin, che aveva studiato tutto il percorso evolutivo insieme al grande amico e collega Lyell, il geologo padre dell’uniformitarismo (la controparte geologica dell’evoluzionismo), aveva disperato bisogno di parecchie centinaia di milioni – forse miliardi – di anni per giustificare le sue teorie. Dovette però soccombere alla “scienza” e accettare le cifre proposte da Kelvin: nelle successive edizioni del suo libro userà degli escamotage più o meno stiracchiati per far stare tutta l’evoluzione della terra in un tempo così ristretto, ricorrendo anche all’ipotesi di cataclismi e altri avvenimenti. Insomma fu costretto ad ammettere che l’asino vola: vola basso ma vola.
Ovviamente, come sappiamo, pochi decenni dopo le “nuove forme di energia” su cui ridacchiava Kelvin vennero veramente scoperte, e le meravigliose teorie della biologia e della geologia messe a punto da quei geni di Darwin e Lyell poterono dispiegarsi in tutta la loro estensione temporale, di miliardi di anni come previsto. L’asino riprese a camminare e a ragliare, come è giusto che sia.
(Appendice) Nella storia del sole l’asino ha volato altre volte, per esempio quando la giovane studentessa Cecilia Payne presentò la sua tesi di dottorato al suo relatore, il professor Henry Russell. Era il 1924, e i calcoli di Payne portavano a concludere che il sole, così come gran parte delle stelle, fosse composto principalmente di idrogeno. Il che era in contrasto con le teorie del momento, che volevano che la composizione del sole e dei pianeti fosse tutto sommato simile, quindi con tanto ferro come la terra. Russell sconsigliò Payne dal pubblicare quei risultati, e infatti lei aggiunse la postilla “l’abbondanza d’idrogeno ed elio sono dati quasi certamente non reali”. Aveva bisogno dell’appoggio del capo per proseguire gli studi. Dunque, anche per lei l’asino in quel momento volava. Russell poi, vigliaccamente, quattro anni dopo si impadronirà dei risultati di Cecilia Payne pubblicandoli come propri. Ma questa è un’altra storia.
Zer037, giugno 2025
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